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Da molti anni  Bruno Marcucci, lungo la rotta di un progetto aperto, che lo porta a muoversi con grande naturalezza tra disegno, pittura, scultura e installazioni, conduce una ricerca orientata sulla profondità e animata da un senso fortissimo della materia – materia terra e materia fumo, materia primordiale e materia tecnologica, materia su supporto e supporto che si fa materia - a cui la mano s’accosta con emozione antica e sapiente consapevolezza. 

Nel tempo, alla riduzione dei mezzi operativi vie-ne a corrispondere, in modo sempre più perentorio, una sempre maggiore concentrazione dell’immagine, sino a giungere agli iceberg di Linea d’orizzonte, tempere al silicone su carta, che si collocano al limite tra visibilità e invisibilità, finitudine e infinito, spazialità luminosa delle superfici e oscurità dei recessi senza fondo.

Dalle parti emerse degli iceberg ci si protende ad ascoltare quel che trascorre al di sotto. La linea d’orizzonte alta pone lo spettatore in corrispondenza  di ciò che è sommerso, di ciò che quietamente sprofonda nelle sconfinate regioni della lontananza, dell’inconoscibile, in cui si inseguono concavità e convessità, in un’ondulata sedimentazione di pieghe.

La moltiplicazione seriale degli iceberg, di dimensioni estremamente varie, senza cesure di spazi bianchi, senza silenzi a separare l’uno dall’altro,  crea un teatro mobilissimo, tra differenza e ripetizione, con una felice successione ritmica di colori e di toni che si modula in mille variazioni sia nella parte emersa sia in quella che si inabissa. Compresse e avviluppate, piega su piega, le masse sommerse, quasi un concentrato del mondo, sembrano suscettibili di espandersi potenzialmente all’infinito, nel centro stesso dell’abisso.

A un’altezza di m 2,03 si pone, appunto, la linea dell’orizzonte, frontiera e limite della visione e della conoscenza, linea di confine tra la lontananza del passato e l’assolutamente ignoto del futuro,  nell’aleatorietà del nostro essere viventi.

Ma più lo sguardo torna a percorrerla, facendo tutto il giro delle pareti, più si lascia prendere dalle pulsazioni dinamiche, dal puro ritmo delle forme e dei colori. Quello che resta alla fine è un senso di gioia, la gioia pura, senza ragione, che nasce dalla felicità delle immagini.

Giuliana Paganucci

 

© 2009 Bruno Marcucci